Quei Bravi Ragazzi, ovvero l'era dei dinosauri contenti

John Fahey, A piccole dosi, in quei giorni...

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monty
view post Posted on 3/3/2007, 10:44




C'è un certo tipo di musica a mio avviso, che l'ascolti cento volte e ti fa due palle tanto,
poi, la rimetti su al momento giusto e non puoi più farne a meno.
John Fahey, di professione maestro del fingerpicking moderno, studioso e sperimentatore
autodidatta, partito dal blues per approdare a tutti i lidi immaginabili, dalla psichedelia
alla classica, è uno di quelli che fa figo tirare fuori nelle uscite tra scoreggioni snob.

Però se siete dell'umore giusto (cioè malinconico/tenebroso, sigaretta,whiskey e sguardo
perso) The transfiguration of Blind joe death e the voice of the turtle potrebbero fare per voi.
E oggigiorno non costa niente provare...


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Oddio ma l'avevo già aperto un topico su Fahey?
Boh!
Abbiate pazienza ho la corsa sui 5000 in dirittura d'arrivo...

 
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Filmippo
view post Posted on 3/3/2007, 17:03




Non l'avevo mai sentito nominare, nonostante sia sempre stato un adoratore del fingerpicking.
Che dire? Provederò. Grazie.
 
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monty
view post Posted on 4/3/2007, 09:45




io l'ho scoperto qualche mese fa grazie ad un topic sul
forum del mucchio.
se vuoi approfondire:

da ilpopolodelblues.com

Chitarrista acustico dallo stile unico e personaggio della musica americana fra i meno indagati, John Fahey ci ha lasciato nel 2001 dopo una carriera durata più di trent’anni (il suo primo album, “the transfiguration of Blind Joe Death“ risale al 1959*) e costellata da capolavori della chitarra fingerpicking. Virtuoso e impeccabile tecnico, Fahey era più interessato ai contenuti che all’esposizione delle proprie capacità di interprete e le sue composizioni prediligevano il lato oscuro della musica. Queste registrazioni, che vedono la luce oggi per la prima volta, rappresentano il più antico reperto del musicista dal vivo e per questo sono particolarmente benvenute. Sono anni, il 1968 e il 1969, di lavoro costante per Fahey, uno dei pochi chitarristi acustici solisti a vivere della propria musica e lo spettacolo del 1968 al club Matrix di San Francisco è particolarmente convincente. John dissemina lungo 14 brani, composizioni che pescano dalla sua già vasta discografica e alcuni inediti che finiranno poi su “The Yellow Princess”, l’album che stava incidendo per la Vanguard. L’alto grado di concentrazione e una qualità improvvisativa e di costruzione della composizione work in progress appaiono chiare all’ascolto. Tralasciando la precisione dell’esecuzione e soffermandoci sui motivi delle composizioni, John Fahey dimostra di essere un uomo animato da “visioni“; la musica è cinematica – Antonioni non a caso lo sceglierà per commentare alcune scene di “Zabriskie Point“ – e il senso di profondità è tangibile. Le visioni di John saranno quelle che amplificate diventeranno poi i fantasmi che animarono i suoi ultimi anni di vita, quelli in cui decise di sradicarsi quasi completamente da se stesso, dal suo stile di arpeggiatura, dalla sua vita reinventandosi come clochard, come chitarrista elettrico, come guru, come guardone e girolimoni.
Qui siamo però lontani dai problemi a venire: in queste registrazioni incontriamo un uomo a suo modo ardito nelle scelte, un pioniere che vuole andare oltre i confini di uno strumento che ha imparato a conoscere in tutti i suoi dettagli. In quel 1968 Fahey svolgeva tutto questo presentandosi davanti al pubblico e riuscendo a farsi apprezzare e a creare un interesse costante intorno a se, quella stessa attenzione che non lo lasciò mai fino alla fine.
Negli ultimi anni di vita John, in un qualche guizzo di lucidità, fece nascere la Revenant, l’etichetta che gestisce oggi il suo archivio (ascoltiamo queste registrazioni grazie a loro!) e con cui, ancora in vita, produsse album come l’ultimo “Hiromi“, dedicato alla diciannovenne fidanzata giapponese, o la essenziale raccolta Bashovia, dedicata a un altro padre della moderna chitarra acustica, Robbie Basho. In un’epoca, i sessanta, in cui l’eclettismo contava, John Fahey ricopriva un ruolo esattamente riconoscibile nella riscoperta della musica americana delle radici - Jorma Kaukonen, Leo Kottke non avrebbero mai fatto il grande salto senza Fahey. Il senso di solitudine, psichedelia latente, vagabondaggio erratico che pervadono questo “The Great Santa Barbara Oil Slick” ci fanno ancora di più apprezzare un musicista che ha fatto compiere un salto in avanti alla chitarra acustica.

* in realtà the transfiguration è del 1967, ed è il 5° album.
Il primo del 1959 si intitola semplicemente Blind Joe Death.
nota del monty
 
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Allyouneedislove
view post Posted on 7/6/2008, 12:10




quello che ha fatto Fahey o Blind Joe Death, è frutto dell'ispirazione , non c'è dubbio.
però come tutti quelli di quella pasta lì, che è rara checchè se ne dica su riviste e blog che son buoni solo a ritirare fuori gli stessi nomi collaudati ogni volta, non è sempre accomodante.

in sostanza: Fahey è grande, grande davvero ma era del tutto nel suo mondo. fà cose bellissime, tecnicismi, ha cuore e ritmo ma non ha nulla di commerciale. personalmente lo trovo immenso ma non lo consiglerei come faccio con T. Buckley.

se non lo si sente nominare pur amando quello stesso genere è perchè invece che parlare di lui si rincorrono i nuovi talenti che però, guarda caso, recuperano tutti

tutti

tutti
tranne gente come Fahey, Kottke eccetera...

chissà come mai.quoto come consiglio Voice of the Turtle.
 
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Allyouneedislove
view post Posted on 5/8/2008, 18:20




quello che ha fatto Fahey o Blind Joe Death, è frutto dell'ispirazione , non c'è dubbio.
però come tutti quelli di quella pasta lì, che è rara checchè se ne dica su riviste e blog


che son buoni solo a ritirare fuori gli stessi nomi collaudati ogni volta,

non è sempre accomodante.

in sostanza:

Fahey è grande, grande davvero


ma era del tutto nel suo mondo. fà cose bellissime, tecnicismi, ha cuore e ritmo ma non ha nulla di commerciale.


personalmente lo trovo immenso ma non lo consiglerei come faccio con T. Buckley.



se non lo si sente nominare pur amando quello stesso genere è perchè invece che parlare di lui si rincorrono i nuovi talenti che però, guarda caso, recuperano tutti

tutti

tutti


tranne gente come Fahey, Kottke eccetera...

chissà come mai.quoto come consiglio Voice of the Turtle


sunto: chissà come mai gli scoppiati che si sentono in giro recuperano anche la salsa cubana ma NON la musica di Fahey.
 
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Allyouneedislove
view post Posted on 19/11/2009, 15:19




alla lista degli irrinunciabili pezzi di Fahey che nel frattempo ho recuperato aggiungo l'ultimo suo lavoro Red Cross e America. entrambi stupendi, intensi, unici.
come facesse non lo so e non mi interessa, so che in un'ipotetica lista dei miei eroi musicali, fra i primi 5 ci sarebbe di sicuro Fahey.
e quindi boh.

sto cercando di recuperare le cose che ha fatto in collaborazione con il mio preferito fra i contemporanei, Jim O'Rourke. morirò se non avrò ciò che desidero.

per gli amanti del fingerpicking...
http://www.paolosereno.com/content/default.asp

madonna santa....
 
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6 replies since 3/3/2007, 10:44   307 views
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